GLI ARTISTI
MAURO
LOGUERCIO violino
FRANCESCO PEPICELLI violoncello
ANGELO PEPICELLI pianoforte
“Penso che siate un grande Trio”.
Così Antonio Meneses, violoncellista del celebre “Trio
Beaux Arts”, parla del “Trio Metamorphosi”, composto
da Mauro Loguercio e dai due fratelli Angelo e Francesco Pepicelli.
E anche altri illustri esponenti della musica cameristica, da Renato
Zanettovich, violinista del “Trio di Trieste” («Un
magnifico Schubert, siete estremamente efficaci») a Bruno Giuranna
(«Un ottimo Trio, la coesione fra gli strumenti è assolutamente
rara, è stato un piacere ascoltarvi. Bravissimi!»), si
sono espressi in modo lusinghiero.
Il nome del Trio è un inno al processo continuo di cambiamento,
così necessario in ambito artistico. E intende sottolineare la
progressiva crescita di un complesso cameristico mai schiavo dell’abitudine,
anzi, sempre pronto a mettersi in gioco con la volontà di creare
prospettive di unicità in ogni performance. I tre musicisti vantano
anche altre precedenti esperienze cameristiche di primissimo piano:
in duo (violoncello e pianoforte), in quartetto d’archi, nonché
collaborazioni con artisti del calibro di Magaloff, Pires e lo stesso
Meneses. Si sono esibiti in numerose sale, fra le più prestigiose
del mondo, dalla Philharmonie di Berlino al Teatro alla Scala di Milano,
dalla Salle Gaveau di Parigi alla Suntory Hall di Tokyo , dalla Carnegie
Hall di New York al Coliseum di Buenos Aires. A livello discografico,
il Trio Metamorphosi è parte del catalogo DECCA. Per tale prestigiosa
etichetta ha registrato l’integrale per trio di Schumann (il primo
CD è uscito nell’ottobre 2015, mentre il secondo esattamente
un anno dopo, nell'ottobre 2016). Le molte recensioni sinora pubblicate
sono tutte estremamente positive. Nel 2017 è stato pubblicato
il CD DECCA, “Scotland”, con una selezione di Arie e Lieder
scozzesi di Haydn e Beethoven, in collaborazione con il mezzosoprano
Monica Bacelli e nel gennaio 2019 il primo dei quattro CD dell’integrale
beethoveniana per trio (prima incisione di un trio italiano in tutta
la storia dell’etichetta DECCA). Nell’estate 2021, a suggello
dell’integrale beethoveniana, un nuovo e inaspettato approdo porta
il Trio Metamorphosi in scena nello spettacolo “Beethoven in Vermont”
scritto da Maria Letizia Compatangelo, in cui i tre musicisti interpretano
- anche recitando - i due fratelli Busch e Rudolf Serkin alla vigilia
del concerto inaugurale, nel 1951, del famoso Festival di Marlboro.
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PROGRAMMA
LUDWIG VAN BEETHOVEN (1770-1827)
QUATTORDICI VARIAZIONI SU UN TEMA
ORIGINALE OP. 44
TRIO N. 2 IN SOL MAGGIORE OP. 1
N. 2
TRIO N. 5 IN RE MAGGIORE OP. 70
N. 1 “GHOST TRIO”
NOTE AL PROGRAMMA
Le Variazioni in mi bemolle
magg. op. 44 costituiscono un’opera giovanile, di poche pretese,
ancora di carattere salottiero e non destinata al grande pubblico.
Per quanto già si possa apprezzare la capacità del musicista
tedesco di sottoporre a variazioni un tema, non troppo ispirato per
la verità, queste variazioni si mantengono ancora in un ambito
convenzionale, prive di quegli autentici e rivoluzionari colpi di genio
che caratterizzeranno, ad es., le variazioni degli ultimi Quartetti
d’archi e delle ultime Sonate per pianoforte.
Il Trio in sol maggiore Op. 1, n. 2, costituisce insieme agli altri
due Trii dell’Op. 1, la prima composizione pubblicata di Beethoven,
nel 1795. I tre Trii furono dedicati al principe Lichnowski, e furono
eseguiti nella sua casa al cospetto di un pubblico di musicisti e cultori,
fra i quali Joseph Haydn. Nonostante si tratti di una composizione estremamente
giovanile, il Trio, come gli altri due, costituisce un importante contributo
all’evoluzione del Trio da camera, rispetto all’esiguo numero
di trii settecenteschi, ove al pianoforte era destinata la scrittura
predominante, sebbene di facile scrittura, pensata per lo più
per pianisti dilettanti, mentre violino e violoncello avevano solo funzioni
di riempimento e accompagnamento.
Il secondo Trio di Beethoven presenta già una notevole invenzione
ritmica e melodica, e i temi sono sviluppati dai tre strumenti con pari
dignità. Da notare l’“Allegro vivace” che segue
l’introduzione lenta del primo movimento, il cui tema principale
somiglia con evidenza alla celebre aria “Di tanti palpiti”
del Tancredi di Rossini. Dopo un “Largo” dal sapore pastorale,
irrompe il terzo movimento “Presto” che risente
chiaramente dell’influenza di Haydn.
Il Trio in re maggiore Op. 70, n. 1 “Ghost Trio”, composto
dodici anni dopo, fu dedicato, come l’altro Trio di quest’opera,
alla contessa sua amica Anna Marie Erdoedy e come ha scritto Carli Ballola,
rappresenta “una delle opere più enigmatiche e demoniache”
di Beethoven. L’appellativo “Ghost Trio” (Trio degli
spettri) gli fu attribuito in epoca romantica per via del secondo movimento,
“Largo assai”, in cui si volle vedere una evocazione delle
streghe del Macbeth. In realtà l’appellativo non è
del tutto fantasioso, in quanto il tema principale del brano corrisponde
a quello scritto da Beethoven, solo abbozzato, per il coro di streghe
di un Macbeth che il musicista aveva intenzione di musicare. Si alternano
in questo secondo movimento un lento tema e un ossessivo tremolo, tutto
il brano a carattere tenebroso e cupo, un’invenzione estremamente
geniale che prelude ai visionari ultimi quartetti. Il “Largo assai”,
elemento focale di tutto il Trio, è preceduto e seguito da due
tempi rapidi, asciutti, nei quali Beethoven impiega tutta la sua ormai
consumata perizia compositiva.
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