Scattano strane magie, quando suona
il PIETROD…ARCHI ensemble.
Sfrigolano cortocircuiti temporali (passato contro presente; il futuro
appena svoltato l’angolo). Partono subitanei illusionismi sonori.
Ci sentiamo risucchiati nel gorgo sonoro. In che macchina del tempo
siamo entrati? Davanti a tutti, il vulcanico e tentacolare Mario Stefano
Pietrodarchi, fisarmonica e bandoneon quasi inevitabili prolunghe del
suo corpo, che ordina, obbedisce, reagisce, dialoga. Attorno a lui,
il Quintetto della Royal Academy di Londra. L’ascoltatore potrà
verificarlo fin dalle prime note: qualcosa sta accadendo ora, eppure
avverti un profumo di storia, sentore di tradizione, e pure intuisci
profezie di un domani immediato: ci troviamo alternativamente proiettati
in un “qui-e-ora” e in un “altrove”. In bilico
fra l’umile realtà fonica – innamorata, sovranamente
cantabile, carnale e terrestre – proveniente dallo strumento a
mantice, e la nobile astrazione – carica di tradizione, vellutata,
sognante, immateriale – realizzata dai cinque archi. (E’
superfluo specificare come i ruoli possano essere invertiti e/o mescolati
a piacere).
Il progetto sonoro PIETROD…ARCHI
è innovazione e temerarietà. Temerarietà perché
l’ascoltatore intravede scorci di natura visionaria, assaggia
come in sogno pezzi di un al di là non immaginato, qualcosa di
scattante, attuale, teso, aurorale. Poi avverti subito una forte volontà
di teatralizzazione, connaturata alla prepotente musicalità di
Pietrodarchi (come ben conosce chiunque lo abbia visto almeno una volta
in azione): la sua vitalità è incontenibile e appare quasi
travolta da un’unica ondata spumeggiante di felicità. C’è
un sano desiderio di partecipazione all’intera sostanza dell’essere,
una necessità interiore, germinante, sorgiva, da cui tutto prende
vita. C’è la volontà di lasciarsi invadere dalla
realtà. Cantare il mondo per custodirlo, per dargli rilievo,
per ricordarlo.
Ma c’è anche dell’altro: è presente una forza
misteriosa eppur evidente, un’intensità biologica e sentimentale
che affiora in continuazione; c’è la tranquilla certezza
di chi abbia vissuto, sofferto, assimilato in profondità quelle
pagine che sta suonando per noi. Trovi una tensione debordante, che
pare dribblare definitivamente ogni minimalismo, ogni restrizione formale,
che agisce fuori da ogni parsimonia e risparmio.
PIETROD…ARCHI
afferma una sostenutezza inclusiva potente, affamata di vita. Un tono
muscolare deciso. Una tenuta di fiato che non molla. Si verifica lo
slittamento dall’ora al per sempre. Il progetto desidera mostrare
la carica di esperienza (umana: di bellezza, di emozioni, ragioni, ordine,
geometria, rispondenze, immaginazione) che le musiche scelte dal gruppo
contengono nel loro nocciolo più segreto. Mario Stefano Pietrodarchi
è esperto di musica perché è esperto di sé.
Ciò significa, in primis, mettere in crisi luoghi comuni e impalcature
che acriticamente si accettano. La fisarmonica è uno strumento
popolare? Lui la rende strumento di incantesimi, di distanze e di sanguinosi
corpo a corpo, giardino di fiori di cuoni splendidi e profumatissimi.
Nell’immaginario collettivo, bandoneon significa solo tango? Pietrodarchi
scova altre rarità, dissotterra antiche e diverse radici, reinventa
per il suo fedele strumento ad ance una pronuncia di primo grado, modellata
su primari impulsi organici. Commissiona brani originali, scritti appositamente
per PIETROD…ARCHI da
compositori d’oggi, italiani. Ostenta con orgoglio nuove invenzioni
di Roberto Molinelli, Andrea Scarpone, Germano Mazzocchetti, Enrico
Blatti, solide colonne della musica italiana contemporanea.
Troppo spesso si è ripetuto che la musica d’oggi è
una specie di Himalaya: se non sei attrezzato adeguatamente non potrai
mai scalare quelle vette inaccessibili. Questo ha creato eccessive paure,
ritrosie, imbarazzi. Ha allontanato le giovani generazioni dalla bella
musica e le ha consegnate in pasto alla barbarie. Altre volte si è
rinchiusa la grande musica in parchi protetti, quasi riserve indiane
per pochi tristi specialisti. Chi abbia assistito a un concerto di PIETROD…ARCHI
sa invece che in quegli spettacoli accade qualcosa: la vita torna a
far parlare di sé, accade, ha luogo. Avviene. Si fa musica sempre
in tre: chi scrive, chi suona e chi ascolta; come ricordava il poeta
Davide Rondoni, citando un letterato americano, “tutto è
possibile se sei abbastanza uomo”.
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Mario Stefano
Pietrodarchi è “abbastanza uomo”: vuole dire
qualcosa di personale e di nuovo. Ha riscosso successi in giro per il
mondo, al fianco di Orchestre quali Sinfonica Abruzzese, Filarmonica Marchigiana,
Armenian State Chamber Orchestra, Orchestra Slesiana (Polonia), Bielorussian
State Chamber Orchestra, e altre ancora. Adesso sta realizzando un sogno
ancora più ambizioso: lavorare stabilmente con una piccola orchestra
d’archi e pianoforte, numericamente ridotta ma potenzialmente completa,
per inventare, divertirsi, procuraci godimento. Una strada vergine, una
via non ancora tentata, un repertorio fresco d’inchiostro; rileggere
in chiave moderna, piacevole, inaudita, i frammenti di verità presenti
nella musica popolare italiana, nel ricco patrimonio dimenticato delle
differenti realtà territoriali del nostro paese.
La musica è sempre frutto di un
incontro. Non è mai un testo fissato una volta per sempre, un progetto,
un’idea nata a tavolino. E’ un avvenimento che introduce al
continuo rinnovarsi della vita. Raccoglie la realtà. Entra in rapporto
con l’altra persona, in una direzione tendenzialmente infinita,
che ha un punto di fuga misterioso dentro. Assomiglia a un rapimento,
invece è frutto di una disposizione assoluta all’ascolto.
E’ questa la portata della sfida lanciata da Mario Stefano Pietrodarchi,
i membri del sestetto, i compositori coinvolti, sono disposti a lasciarsi
attraversare da quel fiume di vita che scorre fuori dalle nostre quattro
mura. Anche noi ascoltatori accetteremo una simile sfida?
PIETROD…ARCHI ensemble
Mario Stefano Pietrodarchi
Fisarmonica e Bandoneon
Quintetto d’archi della Royal Academy
di London
André Gaio Pereria
violino
Charlie Brookes
violino
Dominika Rembowska
viola
Annabelle Oomens
violoncello
Harry Atkinson
contrabbasso
Programma
Ennio Morricone (1928)
- Three Themes
Roberto Di Marino
(1956)
- Concerto per Bandoneon e Orchestra d'archi
2. Adagio, 3. Presto
Astor Piazzolla (1921-1992)
- Oblivion,
- Adiós Nonino,
- Milonga del Angel,
- Le Grand Tango,
- Violentango,
- Libertango
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